
A.I. Intelligenza Artificiale: una macchina può provare amore?
Da considerarsi tra i più pregevoli risultati di questo regista, A.I. é un film che, almeno per chi scrive, non ha ricevuto le attenzioni e l’ammirazione che avrebbe meritato. Di certo, uno dei grandi pregi che si porta dietro é l’esser stato un progetto incompiuto di un genio, Stanley Kubrick, che lavorò a questo film per molti anni ma che purtroppo non poté iniziare a girare.
Fu un breve racconto di Brian Aldiss a ispirarlo, ed é una tematica assolutamente affascinante attorno alla quale fu costruita questa storia che trae linfa anche da quella di Pinocchio. E’ un dilemma eterno, ma forse mai analizzato in immagini con tanta potente e commovente efficacia.
Una macchina, un robot, un’intelligenza artificiale, insomma, può provare sentimenti umani? E’ una domanda che ci si è sempre posti perfino dai tempi di HAL 9000, dell’Odissea Kubrickiana, con risposte che possono lasciare sconcertati. Con A.I. La risposta é sì, anche se il dilemma riguardo a che si tratti di sentimenti “programmati” o reali rimane come sospesa nell’aria.
Certo è difficile per gli umani, per una madre, non farsi coinvolgere emotivamente dal pianto di un bambino e dalle sue invocazioni a non abbandonarlo, anche se si sa che quello è un “Mecha”, e non un bambino vero. Ma é anche difficile per due genitori poter far fronte alle presunte (?) richieste di amore e attenzioni di un “Super Toys” realizzato in maniera impressionante, davanti alla gelosia di un figlio vero tornato dopo che era stato dato per spacciato.
E allora, ecco che un bambino “Mecha”, programmato alla perfezione per soddisfare il desiderio di due genitori, smette di poter sostituire un figlio e diventa solo un Super Toy, un giocattolo del quale liberarsi perché troppo impegnativo, troppo scomodo; troppo bambino. E per David, il bambino Mecha abbandonato dalla madre (?) ai margini di un bosco, comincia un’odissea in un mondo di umani quasi disumanizzati ingabbiati dalla tecnologia nella quale può trovare aiuto solo da un altro incredibile Mecha adulto.
Un’altra odissea tutta Kubrickiana che solo grazie alla devozione di Spielberg ha potuto realizzarsi, e che prosegue fino a quando l’umanità finisce… Ma il Mecha bambino sopravvive al tempo e alla glaciazione, oltre che all’abbandono, mentre da qualche parte del suo essere (forse il cuore, o qualche microchip? chi lo sa…) imperversa un desiderio, solo uno, potentissimo: la mamma.
E forse solo in altri pochissimi film, la presenza aliena ha potuto compiere un simile miracolo: far rivivere a David, grazie a una tecnologia inimmaginabile, un’intera giornata con la sua adorata mamma nonostante la sua morte avvenuta duemila anni prima; e questo, grazie a un capello di lei nascosto duemila anni prima da David nell’adorabile orsacchiotto Teddy.
Non solo il piccolo A.I. l’ha perdonata, ma la ama ancora, in un’ultima mezz’ora di film tra le più strazianti e commoventi degli ultimi trent’anni di cinema. Non ci si chiede più se tanto amore sia umano o artificiale. C’è, ed è immenso. Resta un po’ il rimpianto del film che avrebbe fatto Kubrick, questo si.
Recensione a cura di Enrico Rolli

