
Martyrs: quando il sacrificio della carne si fa misticismo
Se la follia più estrema può spingersi fino a concepire le sevizie più inconcepibili con lo scopo di creare il volto allucinato di un martirio, non c’è più limite all’orrore.
In Martyrs non c’è confine tra il bene e il male. Esiste solo un mondo in cui la quasi insopportabilità della visione non si era forse mai spinta a tanto, al punto di possedere il potere cinematografico di suddividere gli spettatori ignari tra chi riesce a vedere un film fino in fondo e chi rinuncia a metà strada, da quanto può risultare insopportabile la visione.
Curioso il fatto che a circa metà film ci si chieda cosa ancora potrà succedere; e quello che invece ci attende è un viaggio all’inferno. Pochi film, anche in passato, hanno avuto una tale “qualità”. L’Esorcista, senza dubbio, anche se si parla di un capolavoro, Salò di Pasolini o Ecco l’impero dei sensi, anche se per motivi di tutt’altro tipo, e forse pochi altri.
Eppure, nel suo genere, e solo in quello, si tratta di un film assoluto, e nel suo pazzesco estremismo c’è una logica che una mente razionale potrebbe rifiutarsi di definire tale. Lo splatter più disumano, infatti, si coniuga in modo quasi incredibile con una sorta di verosimiglianza di una trama che alla fine, dopo tanto orrore e col senno di poi, ha incredibilmente un suo perché, una sua logica, una sua motivazione perfino interessante e affascinante, seppur inquietante e mostruosa.
Provare a recensire un film, anche e soprattutto se non lo si fa per professione, può risultare difficile senza svelarne la trama, perché in casi come questo occorrerebbe motivare il perché di tali osservazioni. Questo film fu premiato nel 2009, e anche se può sembrare incredibile per uno splatter, i motivi ci stanno tutti. Totalmente su un altro pianeta rispetto ai freddi Hostel o Saw; pazzeschi per violenza ma fine a se stessa. Martyrs no. Le immagini mostruose che mostra questo film hanno un perché, un senso assolutamente giustificato seppur allucinante, come già detto.
Siamo in una sorta di girone infernale che la protagonista è costretta a percorrere sotto l’allucinante volontà di qualcuno che vuole farglielo percorrere per arrivare a capire e/o a scoprire una sorta di mistero al quale da secoli e da sempre, l’uomo , forse invano, anela. E il sadismo più brutale e più agghiacciante ha come fine un perché, nascosto neanche troppo velatamente dal titolo.
Alla fine lo scopo verrà raggiunto, ma la realtà che si celerà dietro tutto ciò sarà definitiva, brutale, devastante. L’espressione che un martirio imprime sul volto di un corpo torturato in modo inconcepibile, diviene una porta che si affaccia sul nulla. E il cerchio si chiude. O forse non si era mai aperto. Nel suo genere, un gioiello. Anche se intriso nella follia e nel sadismo più allucinanti.
Recensione a cura di Enrico Rolli

