
Opera: la centralità dell’occhio nel cinema del terrore secondo Dario Argento
Nel 1987, il regista Dario Argento decise di trasporre sul grande schermo un mondo che lo affascinava fin da bambino, e che anni dopo riprenderà con Il Fantasma dell’Opera: il Teatro e l’Opera Lirica.
In un periodo nefasto per il regista, caratterizzato dalla perdita del padre a cui era particolarmente legato, Argento ritorna con Opera ad una sceneggiatura thriller che ricalca i capolavori che lo avevano reso celebre (Profondo Rosso, L’Uccello dalle piume di cristallo), ma tinge questo film di atmosfere gore e particolarmente perverse, che lo rendono uno dei film più disturbanti del regista.
In Opera, una giovane soprano esordiente di nome Betty deve prendere il posto di una più celebre e anziana collega alla vigilia della prima del Macbeth di Giuseppe Verdi, che nell’ambiente dell’opera si dice porti sfortuna a chi la interpreta. Un serial killer inizia a perseguitare la ragazza, costringendola ad assistere ad una serie di efferati omicidi applicando degli aghi sulle sue palpebre che le impediscono di chiudere gli occhi.
Ed è proprio lo sguardo, il protagonista di Opera. Da un punto di vista narrativo e registico, Dario Argento pone al centro di ogni scena la prospettiva dell’occhio dello spettatore, costretto ad assistere all’orrore che si consuma dinanzi al suo sguardo.
Persino gli attori guardano in camera, rivolgendosi direttamente allo spettatore che assume la soggettiva del serial killer. Una tecnica già sperimentata da Argento in Profondo Rosso, che in Opera viene esaltata all’ennesima potenza.
Nonostante il film non presenti elementi paranormali, le sequenze raccapriccianti e al limite dell’assurdo spostano Opera verso un cinema del grottesco, una sorta di Grand Guignol che ben simboleggia quella teatralità che è insita nel teatro shakespeariano e nell’idea stessa di messa in scena. Basti pensare alla celebre scena dei corvi che attaccano gli spettatori del teatro, divorando i loro occhi nel bel mezzo di una rappresentazione teatrale.
Opera non è esente da imperfezioni da un punto di vista di sceneggiatura, ma è indiscutibile che rappresenti una pietra miliare nel cinema horror, grazie proprio al suo essere meta-cinematografico nella sua essenza. In esso ritroviamo le suggestioni di Hichcock (Gli Uccelli), di Stanley Kubrick (Arancia Meccanica), l’arte di Salvador Dalì, nonché l’essenza del cinema della paura, caratterizzato fin dagli albori da immagini che ci rifiutiamo di vedere, ma da cui siamo istintivamente attratti, e a cui non possiamo sottrarci. Immagini e verità sconvolgenti che i nostri occhi, buchi nero da cui penetrano immagini che poi diventano le nostre memorie memorie, a volte si rifiutano di guardare.
L’intero cinema del terrore applica sulle nostre palpebre degli spilli che ci obbligano a guardare ciò che non vorremmo vedere, e da questo punto di vista Opera è a tutti gli effetti un Manifesto psicologico del cinema horror.

