Intervista Federico Pacifici
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Interviste Vagabonde: Federico Pacifici, tra l’Isola delle Rose e il senso profondo della recitazione

Inauguriamo la nostra nuova rubrica di interviste con Federico Pacifici, con cui abbiamo parlato di recitazione, di cinema e del suo ultimo ruolo ne l’incredibile storia dell’isola delle Rose.

Cinevagabondo: Ciao Federico! Ne L’Incredibile Storia dell’Isola delle Rose  interpreti l’Ammiraglio dell’Andrea Doria. Come hai approcciato a questo ruolo? 

Caro Cinevagabondo, quando mi è arrivata la proposta mi sono semplicemente esaltato all’idea di incontrare Sydney Sibilia e di lavorare con lui. Avendo amato moltissimo la genialità dei suoi precedenti lavori, mi sono semplicemente disposto a ascoltare il regista, a cogliere emotivamente le atmosfere che lui indicava e che si percepivano nella troupe e tra i colleghi e a cercare di soddisfare il più possibile le sue richieste. Stavo lavorando in Teatro e facendo un’altra fiction diretta dal bravissimo Alessandro Angelini, quindi navigavo e volavo tra la Sardegna, Lecce e Malta. Non avevo molto tempo per documentarmi.

In genere leggo la sceneggiatura e cerco di capire da quella lo spirito del film e come io debba pormi. Poi la mia scuola cioè quella che ho frequentato, quella del grandissimo Maestro Orazio Costa Giovangigli, invita a risvegliare la memoria fisica e con questa capire cosa fare, anzi farlo direttamente passando per la testa solo come feedback. Almeno io così la intendo. Quindi la regola che mi do sempre è affidarmi alla lettura della sceneggiatura e al regista.

Cinevagabondo: Il film di Netflix è estremamente divertente, ma ci fa riflettere anche su concetti come la libertà, la sovranità, l’anarchia e la spinta a costruire un nuovo mondo. Secondo te immaginare un’isola delle rose oggi sarebbe ancora possibile?

Se tutto il mondo fosse un’Isola delle Rose, beh mi piacerebbe asssai, ma pare che non sia questa la tendenza.

Sopravvivono infiniti tentativi violenti di sopraffazione di tutti su tutti, ahi noi. Sono passati circa 50 anni da allora, il mondo è parecchio cambiato.

Cinevagabondo: Durante la tua carriera hai recitato in film memorabili sia italiani che internazionali. C’è un ruolo che ti ha segnato più degli altri come attore e come uomo o che comunque ricordi con particolare affetto? 

Il primo film che mi ha cambiato la vita è stato La morte al lavoro di Gianni Amelio, a 21 anni come protagonista, ultimo film in bianco e nero prodotto dalla Rai ma andato e premiato a festival di cinema.

Ogni film mi ha cambiato e si è sedimentato dentro di me

Certamente La corsa dell’innocente di Carlo Carlei è stata un’esperienza fantastica, lui ha avuto il coraggio enorme di affidare a me, borghese romano, il ruolo di uno ‘ndraghetista (il primo che di me e degli attori ha capito che il bello è trasformarsi e interpretare), ma si trattava di una fiaba colta e moderna, poi mi ha anche portato in America e non è poco, e il suo Fluke. Ma anche aver partecipato in ruoli minori a film importanti e bellissimi come Diaz di Daniele Vicari, Il regista di matrimoni di Marco Bellocchio, Segreti Segreti di Giuseppe Bertolucci, mi ha cambiato la vita interiore e artistica, questi registi che ho nominato amano gli attori e con loro parlano.

Detesto i registi che ti dicono cosa e come tu debba fare, amo quelli come tutti i nominati che ti parlano dell’origine della loro ispirazione, di cinema, insomma che ti parlano e ti affidano il ruolo.

Ma dovrei citarne tanti, ancora Vicari di Il passato è una terra straniera, Lizzani di Hotel Meina, Fabiomassimo Lozzi di Stare fuori, Antonietta De Lillo di Il resto di niente, l’amatissimo Claudio Caligari di L’odore della notte, Rosi di La tregua, Roberto De Paolis di Cuori puri, Le cercle de passion di Claude D’Anna per la straordinaria occasione di lavorare con Max Von Sydow, esperienza immensa e, per concludere, un altro capolavoro dal quale sono stato tagliato (devo dire che dalla sceneggiatura era prevedibile) The darkest hour regia di Joe Wright per la straordinaria esperienza di lavoro con lui, regista immenso anche per la direzione degli attori che appunto esercita affidandoti tutte le tue responsabilità e discutendone costruttivamente con te sul set, costruendo e creando con te. E Mattia Torre, genio assoluto mancato irrimediabilmente troppo presto così come Claudio Lizza mio mentore nella scrittura.

Ecco me ne avevi chiesto uno e io ho esagerato 🙂

Cinevagabondo: Immaginare le sale cinematografiche e teatrali chiuse in questi mesi ci rende tutti molto tristi, e ci ricorda il ruolo cruciale dell’attore nel tenere vive le coscienze. Cosa rappresenta per te la recitazione? 

Direi rappresenta, e è, tutto, sia in scena che nella vita, dalla vita si prende e sulla scena si elabora e si restituisce. Amo molto una frase di cui non so l’origine, ma la riportò in un pubblico dibattito Enrico D’Amato, il regista che con un provino mi portò al Piccolo di Milano e al cospetto dell’immenso Giorgio Strehler,

L’attore gode del regalo della sospensione della propria vita quando interpreta un personaggio, per questo vive più a lungo di altri

Sappiamo che non è vero, ma mi piace tantissimo l’idea della sospensione della propria vita che poi però si avvale dell’esperienza di quella del personaggio.

Cinevagabondo: Il cinema italiano sta cercando in un contesto difficile di trovare una sua identità. Ci sono dei film italiani che ti hanno colpito o dei registi con cui ti piacerebbe lavorare o che apprezzi particolarmente? 

I nomi dei registi con cui mi piacerebbe lavorare non li faccio perché sarebbe una piaggeria, ma sono molti e con alcuni anche rilavorare. Vedo soprattutto Cinema italiano e poi le serie di Netflix come tutti, non sarei d’accordo con la proposizione della ricerca di una identità, mi sembra ci sia una molteplicità di proposte, e tra queste i documentari, ciascuna con la propria identità.

Direi che non abbiamo una industria cinematografica, ma se averla significasse omogeneizzare i prodotti, allora forse è un bene non averla.

Ultima domanda canonica di Cinevagabondo: i tre film a cui sei più legato sentimentalmente e la motivazione. 

Immagino la domanda sia da spettatore ché da attore ho già risposto esageratamente.

C’era una volta in America di Sergio Leone, che ho visto un milione di volte e ancora mi sorprende, per tutto il film e in particolare per una frase di Noodles (cito a memoria): “Recentemente sono andato a letto presto la sera” che è anche l’incipit di À la recherche du temps perdu di Marcel Proust. Credo che tutto il film abbia dei debiti con, e sia un omaggio, al grande scrittore francese, importantissimo per chi faccia il mio mestiere.

Ludwig di Luchino Visconti per la sua interezza e in particolare per le scene in cui l’attore invitato al castello non viene ricevuto dal principe e stanco chiede spiegazioni a un cameriere che gli risponde (cito a memoria), il principe non ha invitato l’attore, ma Romeo, il ragazzo innamorato che ha visto a Teatro. Un bell’apologo sul nostro lavoro.

 I 7 samurai di Kurosawa, e tutta la sua opera, in particolare perchè mi portò mio padre al cinema allora parrocchiale Tiziano in via Guido Reni e la cassiera obiettò al mio ingresso per la mia giovane età inferiore ai 14 anni e mio padre rispose: “è mio figlio, decido io cosa può vedere”. Fu così determinato che la cassiera acconsentì. Film memorabile come tutti i suoi che ancora ricordo e medito.
E per concludere, tutto Fellini, Monicelli, Comencini, De Sica, Petri, Germi, Bellocchio, Amelio, i due Bertolucci e e e e e e e e tutti i grandi italiani e e e e e e

Grazie per l’attenzione,

federico

Photo Credit: Sabrina Paravicini 

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