jojo rabbit
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Jojo Rabbit: quando la realtà supera l’assurdo

Esisteva almeno un altro modo, per raccontare questa storia. La storia del piccolo Jojo Rabbit forgiato dai campi della gioventù hitleriana ai principi cardine del Nazismo poteva essere un commovente racconto drammatico, alla stregua de Il Bambino con il pigiama a righe o Storia di una ladra di libri.

Il regista Taika Waititi (Thor: Ragnarok, What We Do in The Shadows) sceglie invece la strada di “una gioiosa commedia nazista”, portando l’immaginario di un bambino di dieci anni sollo schermo e trasformando l’intera pellicola in una fiaba surreale che diverte e commuove per la sua dolcezza. 

Questa scelta artistica che ricorda un po’ le atmosfere di Wes Anderson ci costringe ad interrogarci sulla follia della Germania nazista, e su quanto il suo perverso meccanismo agisse sulle coscienze fin dalla tenera età. Già, perché i campi per i giovani nazisti dove si insegnava loro a lanciare granate e a considerare gli ebrei dei pipistrelli assetati di sangue esistevano davvero, e i piccoli lavoretti per far piacere al Partito esistevano davvero. 

Per quanto assurdo, il mondo onirico di Jojo Rabbit è solo una rappresentazione vista da un caleidoscopio fatto di vetri colorati di una realtà, quella della Germania nazista, assoggettata al delirio di un folle di nome Adolf Hitler.

Impossibile non pensare a Charlie Chaplin ne Il Dittatore, nel vedere l’Adolf Hitler immaginario di Jojo, interpretato dallo stesso regista Taika Waititi: persino lui, pur essendo la proiezione dei pensieri di un bambino, è solo una versione più comica della figura reale. Adolf Hitler è un fantoccio infantile e pieno di paure, sembra dirci Taika, e noi non eravamo altro che bambini che avevamo bisogno di un gioco fatto di segni e di simboli.

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L’intera ideologia nazista viene sbeffeggiata dal film, dal culto della supremazia della razza ariana ai codici di comando e di saluto del militarismo hitleriano. Persino la guerra, nella splendida scena finale, diventa un teatro di posa bellissimo e drammatico, e quando il sipario improvvisamente si chiude e tutto torna alla normalità dopo fiumi di sangue e di orrore, impossibile non sentirsi come destati da un lungo sonno in un nuovo mondo che ricomincia a girare con la sua normalità.

E’ teatrale il ruolo di Scarlett Johansson, che si oppone ai principi del partito nazista attraverso l’ideologia altrettanto folle dell’amore, che non partorisce morte e distruzione ma fa sbocciare fiori e bellezza negli altri.  

Non è forse questo, ciò che i nostri nonni avranno provato quando questa folle guerra improvvisamente ebbe fine? Tutto ciò che governava l’esistenza degli uomini e delle donne europei, ovvero il fanatismo delle dittature, divenne cenere, come una divisa di simil-carta che brucia al primo soffio di vento, e Adolf il terribile un bambino capriccioso che mangia teste di unicorno e che può essere neutralizzato con un calcio nelle palle.

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La libertà, dopo anni di indottrinamento all’odio e alla prigionia, dovette sembrare estraniante, una drammatica rivelazione dell’assurdità dell’essere umano su cui non si può fare altro che ballare, e non dimenticarsi mai che l’amore è la forza più potente del mondo per rimanere ciò che siamo: umani. 

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