
Il Sesto Senso: quando lo spettatore non vuole vedere la verità
M. Night Shyamalan, un nome che oggi è sinonimo di finali a sorpresa. Se evocare Tim Burton porta subito alla mente atmosfere gotiche o circensi, l’uscita di un nuovo film di Shyamalan ci induce subito a guardare la pellicola con molta attenzione.
Questa associazione di idee è dovuta all’incredibile successo di The Sixth Sense: Il Sesto Senso, che nel 1999 si affermò come uno dei più grandi successi al botteghino nella storia del Cinema.
L’operazione del regista richiama alla mente quanto fatto da Hitchcock con il suo Psyco: destabilizzare le certezze dello spettatore con un finale sconvolgente che costringe ad una nuova chiave di lettura dell’intera pellicola: la chimera di ogni cineasta che dirige un giallo. L’intuizione di Shyamalan è quella di applicare questo strumento narrativo ad un horror soprannaturale ad alta tensione, sorprendendo così doppiamente lo spettatore, che non si aspetta un colpo di scena dal momento che generalmente non è parte della parabola narrativa di questo genere di film.
Shyamalan riesce a compiere un piccolo miracolo narrativo in maniera eccelsa, con una pellicola che spaventa e commuove e che risulta perfettamente coerente anche successivamente alla rivelazione finale.
E’ l’incomunicabilità, il tema portanche che il regista usa contro lo spettatore. L’intero film è disseminato di indizi che svelano la verità sul Dottor Crowe (Bruce Willis) e il suo segreto, ma che vengono colti dallo spettatore solo alla fine.
Loro vedono solo ciò che vogliono vedere.
L’incomunicabilità dell’essere umano passa attraverso le parole, che da sole non bastano a manifestare i propri tormenti interiori: il dottor Crowe non riesce a comunicare con sua moglie, il piccolo Cole con sua madre, persino il rapporto tra il dottore e il bambino spesso viene schiacciato dalla difficoltà di capirsi, di ascoltarsi. Solamente nel momento in cui il dottor Crowe accetta di ascoltare, che la verità finalmente si rivela.
Ne Il Sesto Senso, la dimensione soprannaturale è solo una manifestazione di questa impossibilità di capire fino in fondo il mondo interiore dell’altro, che vive così in una dimensione lontana anni luce da noi.
Chi di noi, in fondo, non si è mai sentito un fantasma per qualcuno?


7 commenti
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