Shining
Horror,  Recensioni

Shining: chi ha paura di aprire la camera numero 237?

Le origini di Shining vanno ricercate nella Mitologia Greca, e in particolare nel Mito di Teseo e del Minotauro, creatura mostruosa con il corpo di un uomo e la testa di un toro, rinchiuso da Minosse nel labirinto di Cnosso.

Nell’Inferno Dante Alighieri colloca il Minotauro a guardia del Girone dei Violenti, proprio perchè nella Mitologia simboleggia la parte più  bestiale e feroce dell’essere umano, quella che ci accomuna agli animali.

Jack Torrance è il Minotauro di Stanley Kubrick, e l’Overlook Hotel il dedalo di corridoi del Labirinto di Cnosso. Affascinato dal romanzo di Stephen King, nel 1980 Kubrick decise di mettere in scena la sua rappresentazione della paura, dando vita a quello che è considerato un Capolavoro assoluto del genere Horror.

Shining labirinto

C’è un filo sottile che lega Shining ai precedenti film di Kubrick, da Arancia Meccanica e Lolita, ed è quella tensione costante tra ciò che l’essere umano “deve essere” come creatura sociale e ciò che “potrebbe essere” se lasciasse andare le pulsioni più recondite, quel lato oscuro che potenzialmente risiede in ogni essere umano in quanto antico predatore. Se in Lolita la pulsione liberatoria è quella dell’Eros, in Shining è Thanatos, ovvero la pulsione di Morte.

Per Stanley Kubrick, l’istinto omicida che alberga in tutti noi è ciò che ci rifiutiamo di vedere, e che Shining mette in scena con la sua potenza visionaria.

Shining scena ascia

Kubrick trasporta il piccolo Danny, Wendy e tutti noi nella psiche di Jack Torrance, e l’intero Hotel non è altro che il suo sub-conscio, dove si cela qualcosa che non dovrebbe essere liberato. In una camera della mente di Jack, la camera 237, vi è sigillato un sinistro pensiero. Un pensiero che ora dopo ora si fa strada in lui, invadendo le altre stanze e i corridoi vuoti della sua mente, fino a diventare una irresistibile ossessione: uccidere la propria famiglia.

C’è un altro film horror che in qualche modo si lega a Shining, ed è Profondo Rosso di Dario Argento. Il concetto che li accomuna ha a che fare con il tempo, in particolare con la violenza e l’orrore che rimangono “attaccati alle pareti”, come se l’aria stessa fosse per sempre contaminata da ciò che di terribile è accaduto. In Shining ciò è sussurrato da questo strano potere chiamato Luccicanza, una sorta di capacità ricettiva di alcuni esseri umani di percepire accadimenti e pensieri che travalicano il tempo.

Se ribaltiamo questo concetto dalle pareti dell’Overlook Hotel alle pareti della psiche, ecco che la Luccicanza non è altro che quel misterioso processo psicologico che ha origini nell’infanzia (il piccolo Danny) e che conduce un uomo verso il baratro della follia, che nel caso di Jack Torrance assume la forma di una follia omicida.

Complesso, stratificato, incantevole, Shining ha al suo interno almeno due livelli di lettura: uno più razionale, che ricerca appunto nella storia riferimenti mitologici e psicologici, e uno più percettivo, che risiede in delle immagini capaci di turbare lo spettatore ad un livello inconscio attraverso luci, suoni e colori che attivano in noi qualcosa di profondo.

La visione di Shining è così potente perchè cerca di aprire la porta della nostra stanza 237. Voi siete sicuri di voler entrare?

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