
Parasite: l’ascesa al Paradiso dei topi dell’Inferno
Non è semplice trovare le parole per descrivere Parasite, il Capolavoro sud-coreano vincitore di ben quattro Oscar, tra cui Miglior Film e Miglior Regia.
Una cosa è certa: fin dalle prime scene si intuisce che ci si trova di fronte a qualcosa di sontuoso, che va ben oltre la storia di una piccola famiglia dei sobborghi di Seoul: a cominciare dall’impianto scenografico. Il film si sviluppa in verticale, partendo dal buco più profondo dell’Inferno e risalendo verso le vette del Paradiso, un impianto che richiama all’architettura della Divina Commedia di Dante.
Su e giù per le scale, i personaggi di Parasite si muovono come topi alla ricerca di un loro spazio vitale, seguendo un istinto animale che li porta verso l’alto e schiacciati dalle forze del destino, che li spinge verso il basso. Come per le povere blatte che infestano le case, anche per la famiglia Kim sono gli avanzi di cibo a guidare l’ascesa nella famiglia Park.
Parassiti. Puzzolenti parassiti che infestano le case. Ma sono parassiti anche i ricchi Park, incapaci anche solo di nutrirsi o di crescere la prole senza l’aiuto di domestici, autisti, insegnanti, psicologi, elettrodomestici fiammanti.
No, non è una semplice lotta di classe. Parasite sovverte ogni schema della narrazione cinematografica, lasciandoci senza riferimenti a cui aggrapparci: durante l’intera pellicola lo spettatore è con i Kim, e nello stesso tempo con i Park. Subito dopo odia i Park, e immediatamente dopo i Kim. La casa in cui si svolge il film è il teatro di una Apocalisse che mette a nudo gli esseri umani, diversi per lo spietato gioco del destino che diversamente li ha addomesticati nella società, ma che li rende tutti topi affamati alla ricerca di un proprio spazio di sopravvivenza.
A dominare i Park come i Kim è la paura: la paura di essere sbranati, contaminati e spodestati per i Kim, e la paura di essere scoperti nella propria natura di topi da parte dei Kim. Parassiti, perchè nessuno può fare a meno dell’altro. Bong Joon-ho mette in scena un film che apre riflessioni profonde sulla natura degli esseri umani e sulla loro capacità di adattamento e di sopravvivenza. Ma anche sull’ingiustizia sociale e la ripartizione della ricchezza, che rende gli esseri umani specie apparentemente diverse in base al proprio stato sociale.
Se è vero che i Park non puzzano, è pur vero che non amano. Se è vero che i Kim sono astuti farabutti, è pur vero che sono uniti come un branco che si muove come fosse un’unica entità. Gli spazi del film rispecchiano questa lontananza e vicinanza delle creature: se il Paradiso è immenso e sconfinato, i Gironi dell’Inferno sono un carnaio di anime assemblate l’una sull’altra, torturate dalla Terra con pioggie incessanti e il dolore della fame.
Cosa si ha da perdere, quando si è mossi solo dalla fame? Cosa si può sognare, quando non si ha nulla da sognare? Di cosa si ha paura, quando si ha tutto? Queste sono le domande che si pone Parasite, e che riguardano ognuno di noi.

