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Profondo Rosso: il desiderio di morte dell’infante

Tutto ha inizio con il Lupo Cattivo che mangia la nonna di Cappuccetto Rosso, o con la strega di Hansel e Gretel che cuoce i bambini nel forno.

Il legame tra il terrore e l’infanzia ha origini ataviche, ed è uno dei motivi per cui da sempre il cinema si nutre delle paure dei bambini. L’intera nostra esistenza è segnata dai terrori che hanno turbato la nostra infanzia, e quando l’orrore è troppo reale per essere compreso, il bambino lo chiude a chiave nelle stanze della sua psiche. Ma esso rimane lì, sopito come una bestia famelica pronta a risvegliarsi da un momento all’altro.

Profondo Rosso fa così paura perché apre le porte di queste stanze che non vorremmo vedere. Gratta con una lima la parete dell’inconscio che faticosamente con l’età adulta abbiamo cercato di celare al mondo nell’antica Villa della nostra psiche, e dietro c’è il disegno di un bambino che ha visto il sangue con i propri occhi innocenti.

Il capolavoro di Dario Argento è costellato di continui riferimenti all’infanzia: è una nenia infantile ad accompagnare gli efferati omicidi del Mostro, e sono bambole di porcellana ad indicarci il percorso verso la verità che non vogliamo vedere, come le briciole di Pollicino.

È una bambina dai capelli rossi ad infliggere dolore ad una piccola lucertola, ed è il pianto di un bambino urlante ad echeggiare nella Villa. Persino i protagonisti sono a loro modo bambineschi, così grotteschi nel loro relazionarsi con l’altro sesso o nell’affrontare la vita adulta. Tutto rimanda ad un momento del passato in cui è accaduto qualcosa di terribile che si vuole cancellare dalla memoria. 

Dimenticare. Dimenticare per sempre. 

Se fino a Profondo Rosso il Cinema aveva utilizzato i bambini per terrorizzare gli adulti, Argento racconta il loro grido negli adulti stessi, nella loro resistenza ad aprire le porte dove hanno chiuso gli oscuri segreti dell’infanzia.

La rimozione è un altro degli aspetti di Profondo Rosso, quel meccanismo per cui la psiche, indipendente dalla nostra volontà, nasconde ciò che non vogliamo vedere.

Non a caso, il volto dell’assassino si cela nel riflesso di uno specchio. Il riflesso di noi stessi cosí come siamo davvero, e che ci rifiutiamo di vedere. È un rimando a Dorian Gray di sublime bellezza.  E in quel riflesso si specchiano tutti i personaggi che ruotano attorno a questa figura agghiacciante, che cerca disperatamente di seppellire il suo terribile segreto.

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