
Misery non deve morire: la storia che salvò la vita a Stephen King
Prima di essere uno dei thriller più diabolici e affilati che mente umana abbia mai concepito, Misery è una riflessione sul rapporto narratore/lettore, e su quel particolare meccanismo di seduzione che un abile narratore instilla nelle sue opere, creando una forma di dipendenza letteraria non così diversa da quella “Sindrome di Stoccolma” che affligge Paul nel suo lungo travaglio nella casa di Annie Wilkes. Misery è uno dei libri più appassionanti di Stephen King perché è il testamento della sua salvezza; tra le sue pagine vi è inscritta la lotta estenuante dello scrittore nel tentativo di sconfiggere i demoni della sua dipendenza, cercando in quelle rassicuranti storie che ascoltava da bambino una dipendenza salvifica, una via di fuga da una morte certa.
Negli anni in cui scrisse Misery, King era dipendente da alcol e psicofarmaci, che intrappolavano la sua vita come Annie Wilkes fa con Paul Sheldon. I dettagli sugli effetti del Novril nel romanzo sono uno degli aspetti che più rivelano il periodo difficile che il grande scrittore stava vivendo.
Rifugiandosi tra i tasti della sua vecchia macchina da scrivere (a cui mancava la n) King riversò in questo romanzo tutto il dramma dei suoi giorni, dando vita ad un Capolavoro letterario di terrore e fascino senza precedenti.
La trasposizione cinematografica di una storia che racconta in ossessione non poteva trovare volto migliore di quello di Kathy Bates, ipnotica nel ruolo che le valse un Oscar come miglior attrice protagonista. Il film riesce nel suo intento di intrappolare lo spettatore tra le grinfie di Annie Wilkes, madre curatrice e dispensatrice di morte.
Del libro perdiamo una perversione sessuale che è solo lievemente accennata nel film, ma la complicità tra i due attori lo rende uno dei migliori film tratti da un romanzo, nonchè uno dei thriller più incalzanti della storia del Cinema.


6 commenti
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