
The Others: quando il terrore si annida nel subconscio
Pochi film hanno saputo rapire lo spettatore come The Others. Letteralmente. Il regista Alejandro Amenabar ci rapisce, ci addormenta e con un urlo ci fa svegliare fin dalla prima sequenza in un luogo perduto nel tempo e nello spazio: una casa avvolta nella nebbia. Scopriamo di trovarci su un’isola, ma non sappiamo perché. Non contento, Amenabar chiude le tapparelle, ci impedisce di vedere la luce, facendoci perdere la cognizione del giorno e della notte. Parte del fascino di questa pellicola risiede nell’intuizione del regista di togliere allo spettatore ogni riferimento spazio-temporale, cosi che egli non possa fare altro che rimanere concentrato sugli occhi glaciali di Grace, una straordinaria Nicole Kidman.
Siamo sospesi in un limbo, esattamente come Grace. Ci vengono sussurrati indizi, ci vengono fornite le informazioni per capire, ma ogni cosa rimane eterea e inafferrabile. Non riusciamo a prendere coscienza di ciò che sta realmente accadendo, esattamente come Grace.
Perché The Others è un film sul subconscio, sulla sua capacità di seppellire i ricordi più terribili. Per quanto tu possa chiuderli dietro una porta sbarrata, loro sono lì a bussare, come governanti che entrano da una porta di servizio. Sono lì a sussurrare qualcosa che non vuoi comprendere.
The Others è un film sui meccanismi inconsci, una riflessione sulle madri che compiono gesti inimmaginabili, e sullo choc che questo puó provocare sulla psiche.
Un inquietante spettro che si aggira intorno a noi, ma che ci rifiutiamo di vedere

